lunedì 28 gennaio 2013

Sabato, domenica e lunedì

Ultimo weekend di gennaio, freddo e asciutto, in attesa dei cosiddetti ‘giorni della merla’, quelli che dovrebbero essere i più gelidi di tutto l’inverno, due giorni trascorsi tra gli impegni, sociali e ‘mondani’ del sabato e la visita a parenti, preceduta da una passeggiata sulla collina, tanto per non rimanere ‘abbioccati’ sul divano, della domenica.
Niente di che, insomma, niente escursione sulla neve né romantiche ‘trasferte’ sul lago di Garda, come avevo ipotizzato in precedenza, ma momenti tranquilli di ordinaria quotidianità…
 
Sabato mattina era in programma la ‘Giornata del volontario Mandacarù’, alla quale avevo aderito con quel pizzico di preoccupazione, ‘eredità’ di tanti (e spesso noiosi) corsi di aggiornamento, per lunghi e fumosi discorsi che non suscitassero altro se non sbadigli trattenuti. E invece l’incontro, in una spoglia sala ‘polivalente’ alla periferia della città, si è rivelato interessante e ricco di spunti di riflessione, con momenti di ascolto e altri di partecipazione attiva. Numerosi erano i volontari presenti, rappresentanti delle varie botteghe della provincia, con una netta prevalenza femminile e un’età media abbastanza elevata e intenso è stato lo scambio di esperienze e impressioni, che ha avuto il suo ‘clou’ all’ora del pranzo comunitario, in perfetto stile ‘commercio equo e solidale’, un succulento couscous, cucinato da due signore nordafricane, seguito da una selezione di biscottini alle mandorle con dell’ottimo the alla menta, che tutti hanno mostrato di apprezzare con ripetuti bis.
 
Nel tardo pomeriggio, invece, abbiamo vissuto il momento ‘mondano’, nella fattispecie la festa per la raggiunta pensione dell’amica ‘Ciofanna’, che ha invitato una quarantina tra amici e parenti con i quali condividere la gioia per l’agognato traguardo. Nella sala, affittata per l’occasione, era allestito il buffet, ‘presieduto’ dal figlio minore, mentre il fratello maggiore, con morosa, si occupava di musica, impianto luci e tutto quanto richiesto per una buona riuscita del ‘party’. I tre giovani, per sottolineare l’importante ruolo, indossavano una maglietta-riconoscimento con la scritta STAFF ERMO, che l’augusta genitrice aveva provveduto ad acquistare.
E la neo-quiescente, guardata con una certa invidia da tutti coloro che per motivi di ‘prolungata giovinezza’ sono ancora alle prese con quotidiani impegni lavorativi, ha avuto il suo daffare nell’accogliere gli ospiti che via via giungevano, nello scartare i regali che man mano le venivano offerti, in un tourbillon di carte, nastri, fiocchi, biglietti, nell’intrattenere i presenti, nel coordinare lo staff ermo, fino al momento culminante del brindisi e del taglio della beneaugurante e maxi torta.  
Poi è stata domenica. Ridimensionati i progetti turistico-salutisti di due passi in altro ambiente, grazie ad un eccesso di ‘pantofolite’ acuta del compagno della mia vita, mi sono accontentata di una passeggiata in collina (fin lì, posso venire- ha sostenuto l’amato bene)… a tre, dato che c’è anche la fidata macchina fotografica con noi, con la successiva visita, per concludere la giornata, alle rispettive madri, due ‘giovinette’ ottantaseienni, con qualche acciacco la mia, più arzilla, anzi arzillissima, l’altra che di certo confida di uguagliare, se non superare, la compianta Rita Levi-Montalcini ;-).
Stasera, infine, dopo i consueti appuntamenti del lunedì, compresa una sessione di ‘stira e ammira’, mi ritrovo, davanti alla televisione che trasmette il film ‘Vento di primavera’, sulla deportazione degli ebrei di Parigi nel 1942, a riflettere sulla banalità del male e a chiedermi come sia possibile che l’uomo sia capace di tanta crudeltà.
E, vedendo il ruolo avuto dalla polizia del governo collaborazionista di Vichy, chissà se in Francia ci sarà qualcuno pronto a sostenere che, qualcosa di buono, l’avrà sicuramente fatto anche il maresciallo Petain…

giovedì 24 gennaio 2013

La penna d'oro dell'angelo


Io, da bambina, non sono certo stata una ‘figlia modello’, almeno secondo i canoni di cinquant’anni fa e oltre (oggi sarei considerata una fanciulla quasi esemplare ;-)): troppo vivace, troppo estroversa, ciarliera, disordinata, poco obbediente. Del tutto diversa da quella tale Paola, mia compagna di classe alle elementari, che la mia mamma mi portava spesso ad esempio: posata, silenziosa, ordinata, responsabile. Paola che usciva al mattino e tornava a mezzogiorno da scuola con il grande fiocco rosso intatto e sempre ben posizionato al centro della testa, Paola che non si sporcava né stropicciava gli abiti, che stava seduta composta nel suo banco, che non chiacchierava durante le lezioni, che obbediva alla mamma, alla maestra, al catechista. Paola, in altre parole, la bambina modello, agli antipodi di quella che ero io allora.
E accanto alla frequente citazione di quella compagna giudiziosa alla quale avrei dovuto assomigliare, c’era anche la narrazione di esempi di obbedienza filiale, premiati da soprannaturali figure alate, come nel caso di quella certa bambina, vissuta chissà quando e chissà dove, che, avendo immediatamente interrotto lo svolgimento del compito che stava completando, per rispondere ad una chiamata materna, si era ritrovata la parola, lasciata a metà, completata a lettere d’oro, nientemeno che da un angelo (o arcangelo) direttamente inviato dal cielo. Miracolo che a me, ovviamente, non sarebbe mai accaduto, essendo, diciamo così, assai meno dotata di simile virtù. E menomale, pensavo io, ché una parola metà nera di inchiostro e metà d’oro zecchino non sarebbe stata, esteticamente, il massimo, senza parlare di quello che avrebbe poi detto la maestra, a scuola…
 
E la storia dell’angelo con la sua penna d’oro mi è tornata alla mente questo pomeriggio quando, intenta com’ero a ‘spadellare’ in un improvviso moto ‘culinario’ ho rivolto al consorte che sedeva ben fermo davanti al computer, la richiesta di mettere sullo stereo un qualche cd.
-Metti su un po’ di musica, Paolo…-
Il silenzio ha continuato a regnare sovrano in casa per i successivi cinque, dieci, quindici minuti (se non oltre), finché…
-Anche a ti, Paolo, l’angelo no l’ t’avrìa scrit la parola con le lettere d’oro…-
-Chi? Cossa? L’angelo? Qual angelo?- si è finalmente riscosso il consorte, alzandosi e appropinquandosi al moderno strumento tecnologico.
-L’angelo? Le lettere d’oro? E’ che io impiego un po’ a recepire i messaggi…-
Eh sì, caro il mio marito, in fatto di penne magiche e lettere d’oro, in casa nostra l’angelo sarebbe rimasto disoccupato!!

martedì 22 gennaio 2013

Domenica 20 gennaio

Sta piovigginando (o sono già le prime ‘faville’ di nevischio?) quando esco nell’oscurità delle ore 6.45 di domenica 20 gennaio, con tutto il mio carico da montanara, per raggiungere l’auto del Presidente Paolo (più consorte Silvana, più Carla B., più Ozam, l’amico turco) che ci porterà al consueto punto di partenza.
Sì, il mio caro marito è ancora in fase di ‘quiescenza’ alpinistica e sta dormendo il sonno del giusto nel talamo di casa, mentre noi, in stretta intimità…. automobilistica, arriviamo al lungadige Monte Grappa, dove già numeroso e pressoché al completo è il gruppo dei partenti.
-Manca el pulman!!- si lamenta il pessimista di turno.
-Calma, l’ariverà…- ribatte qualcun altro.
E il potente mezzo, infatti, si profila quasi per incanto all’orizzonte, condotto, come ormai d’abitudine, dal giovane Orazio che si presenta anch’egli ben munito contro i rigori invernali, con tanto di sciarpone e berrettone che lo rendono quasi irriconoscibile.
Poi, fatto l’appello, tutti a bordo e si parte vero l’odierna meta, quest’oggi oltreconfine, nell’ignota (per me, almeno) austriaca vallata della (o dello?) Schmirn.
-E te g’hai el document, che doven ‘nar a l’estero?- mi chiede un amico ‘curioso’.
-Azz, la carta de identità!!-
No, non ce l’ho…
E grigio incontriamo lungo il percorso, grigio a Bolzano, grigio a Bressanone e poi a Vipiteno e grigio al passo del Brennero, anche se si leva qualche voce ‘ottimista’ (ché, alla Sat, l’ottimismo è una virtù diffusa, capace di vedere il raggio di sole al di là di coltri di nere nubi ‘spesse’ un km… ;-) ).
-El sol! Vegn fòra anca el sol!!-
In effetti, tra il grigiore che ricopre il cielo sopra di noi, laggiù in fondo, in fondo (probabilmente sopra Monaco di Baviera.. ;-) ) si apre un minimo spiraglio… più chiaro. Piccolo, piccolissimo, ma regala quella speranza che, come ben si sa, è sempre l’ultima a morire.
E con questa rosea prospettiva, il gruppo dei 44 escursionisti, diviso pressappoco a metà tra sciatori e ‘ciaspolari’ si mette in marcia, fatta la doverosa prova Arva, risalendo in serpeggiante fila indiana l’erto pendio che diparte dal paesino di Schmirn. Un passo dopo l’altro, con una prima sosta per alleggerire il vestiario e poi, di nuovo, su nel bosco per un lungo tratto, quindi su ampi spazi aperti dove la neve è abbondante e polverosa. Ora il gruppo si è frazionato in tutta una serie di segmenti e, mentre i piè veloci sono già lontani, io risalgo con la dovuta calma, lasciando a Silvana, che mi precede di un centinaio di metri, l’onere di decidere quando interrompere l’ascesa e riprendere la via del ritorno. E così, su e su, nel biancore quasi irritante e con gli occhiali che si appannano, mentre penso che gran parte di questo tragitto lo dovrò ripercorrere in discesa (ahimè), quando ad un tratto squilla il mio cellulare. Sarà Silvana, penso, intenta nelle molteplici operazioni di recupero del ‘mobile-phone’, che, come spesso accade, pare disperso in qualche anfratto dello zaino. Eccolo!
-Pronto?-
No, non è Silvana, ma è il consorte che desidera sapere come sia il tempo qui, in terra austriaca.
-A Trent, gh’è ‘na bufera del neve…- mi ragguaglia.
-Qui no, è grigio e coperto, anzi, si sta levando anche un po’ di foschia, ma neve, niente… No, scusa un attimo… el scominzia a fiocar anca qua…-
Eh già, sta cominciando a nevicare!! Altro che sole in arrivo!! E la Silvana, quando si fermerà??
La Silvana è ormai a due passi dalla cima che vedo anch’io, dal mio luogo di sosta (temporanea), il Rauher Kopf, con la sua brava croce sommitale.
-Mancheranno 25 metri- mi sollecita Carla B., che nel frattempo mi ha raggiunto.
25? O 50, come sostiene Ezio, anch’egli ora nei pressi.
25 o 50, faccio l’ultimo sforzo, mentre le campane del paesino, laggiù in fondo alla vallata, rintoccano il mezzogiorno e, passo dopo passo mi inerpico sul ripido (assai) versante, senza pensare al ‘dopo’ (=discesa) ed eccomi alla forcella sotto la cima.
Intanto gran parte dei compagni ha già preso la via del ritorno, gli sciatori con ampi zig zag, sollevando nugoli di neve polverosa e i ‘ciaspolari’ seguendo tracce più ‘obbligate’, qualcuno paventando il rischio di pericolosi smottamenti.
Bello, ci mancherebbe solo una valanga!!
Così dimentico i dieci metri che mi separano dalla croce (tra l’altro adesso c’è nebbiolina che impedisce qualsiasi panorama) e con Silvana e altri benemeriti riprendo la strada del ritorno.
Con precauzione estrema, attenta ad ogni passo, sudando tutto il sudabile, gli occhi ben puntati sul terreno, percorro a ritroso la traccia seguita poc’anzi ed è con estremo sollievo che, dopo un tempo che non riuscirei a quantificare, mi ritrovo con Silvana e Serafina sulla strada forestale che, pianeggiante :-D e molto, molto più facile da percorrere, ci conduce verso la frazione di Toldern, dove ritroveremo il pullman e, aspetto non secondario, un grande punto di ristoro, forse l’unico di tutta la zona.
E così facciamo, noi tre signore, sotto un lieve (e quasi fastidioso) nevischio, giungendo alla meta quando le 14.30 sono già battute e ci stavano dando quasi per disperse (in verità ci eravamo fermate all’esterno del locale per mangiare il panino portato da casa, approfittando di una riparata panchetta..).
Ma abbiamo anche noi tutto il tempo di assaporare le proposte della casa, in un’atmosfera amichevole, calda e super-vociante, prima di ripartire, con un certo anticipo, verso l’italico suolo.
Altre due ore (abbondanti) di viaggio con qualche benefico appisolamento, due chiacchiere con Lina, la mia vicina di posto e alcune (personali) riflessioni sul senso dell’andare in montagna e finalmente siamo a Trento, dove la neve, che ha lasciato posto a qualche scroscio di pioggia, ci regala, come benvenuto, un pantano scivoloso…
E vabbè, non si può pretendere tutto dalla vita! ;-)

sabato 19 gennaio 2013

Una mattina 'socialmente' intensa

La mattina del venerdì è quella, nella settimana, libera dagli impegni ‘fissi’ e social-culturali (il caffè del martedì con i colleghi e il gruppo di lettura ogni due mercoledì) e ginnici, che mi vedono attiva e determinata il lunedì e il giovedì.
Così, tanto per non rimanere in ozio ;-), mi capita spesso di approfittare di questo tempo senza programmi prefissati, per un veloce incontro con l’amica Alberta per due chiacchiere e un caffè al volo. Sì, un incontro ‘su e via’, nella sua pausa-caffè, essendo lei, ancora per qualche mese, impegnata al lavoro, in un ente pubblico giusto a due passi da casa nostra.
Ed è quello che ho fatto stamattina. Uno sms di ‘avvertimento’ e alle 10 in punto ci siamo incontrate davanti al suo ufficio, nell’aria tersa e fredda di questo 18 gennaio. Due passi veloci fino al bar consueto, il solito caffè e un rapido ‘aggiornamento’ sulle ultime news, poi i saluti e l’arrivederci alla prossima settimana, con il mio auspicio di vederla al più presto alle gite Sat (‘se ti iscrivi a quella del 27, me iscrivo anca mi…’ le ho detto).
Bene, sono le 10.15 e posso dedicarmi alle incombenze familiari (=spesa dal fruttivendolo, ché, in questi giorni, ho pressoché ripulito il frigo, prima e un salto al supermercato, poi). Sempre camminando di buon passo, per contrastare il freddo pungente, mi dirigo verso la piazza Vittoria, dove ha il suo rifornito banchetto il ‘verduraio’ Renzo, facendo mente locale di tutto quello che devo comprare (perché, noi, una lista, non sia mai!!) e riflettendo se è il caso di farmi portare il tutto direttamente a casa, quando…
Quando, grazie alla sindrome di Amleto che mi contraddistingue (e che oramai mi seguirà fino alla tomba), decido che posso rimandare gli acquisti a domani, allorché godrò dell’accompagnamento dell’amato consorte, dato che per oggi posso far bastare quello che ancora c’è in casa e, con un repentino dietrofront, torno sui miei passi.
Ma cosa succede a questo punto? Succede che, trovandomi a passare nei pressi della scuola media Bonporti, dove ora insegna la mia cara collega Mimma, non mi venga in mente di fare un salto là per salutarla. Il venerdì, lo so, finisce dopo la terza ora, quindi, quale migliore occasione per incontrarla? E non accade che, con il mio stesso proposito, non giunga anche la comune amica Giuliana? Un incontro a tre, del tutto imprevisto, che si conclude con una lunga e amichevole chiacchierata nel bar di fronte alla scuola, di fronte ad una bella tazza di caffè d’orzo, tanto che, quando ci alziamo dal tavolo, non manca molto a mezzogiorno.
E quando rientro in casa, dopo il ‘salto’ al supermercato (quello sì, l’ho portato a termine ;-)), il consorte mi accoglie con un ‘credevo che ti fossi persa… e avevi anche dimenticato a casa il cellulare!’.
Già, doveva essere un’uscita rapida, vado, bevo il caffè con l’Alberta, faccio la spesa dal Renzo e torno ‘ndrè e invece ho impiegato più di due ore… E me ne sono tornata con un ottavo di spesa!
Però, il pranzo era già ‘avviato’, perché, anche se in casa ho un cuoco provetto, stamattina, prima di uscire, avevo già tagliato la zucca per il risotto e cucinato una minestra di verdura per la cena di stasera. E vi pare poco?

martedì 15 gennaio 2013

Verso la Forca Rossa - 13 gennaio 2013

Era dal 21 ottobre che non calzavo gli scarponi e non partecipavo ad una gita Sat. Ed è vero che mi ero ripromessa di ponderare attentamente le nuove uscite della nuova stagione 2013, non pensando davvero di riprendere già con la prima.
E invece…. Invece sono ripartita, ‘complice’ l’amica Silvana, con la quale avevamo concordato le modalità di partecipazione.
-Camminiamo per un paio di ore o fino a quando saremo stanche- ci eravamo dette –poi possiamo tornare indietro e fermarci in uno o l’altro dei luoghi di ristoro…-  
Ok, così si può fare, avevo pensato.
Così, domenica 13 gennaio, mi sono avviata di mattina presto, sotto un leggero nevischio, verso il luogo di ritrovo, con tutto l’ingombrante bagaglio, zaino, ciaspole, bastoncini, scarponi, più Artva, ma… senza consorte, in questo periodo a forzato riposo. Un lungo trasferimento in pullman fino a passo San Pellegrino, a poca distanza dal quale l’escursione ha avuto inizio.
Anche qui stava nevicando, fiocchi leggeri che volteggiavano in un’atmosfera grigiastra che non permetteva ampie vedute delle montagne circostanti. E i baldi escursionisti Sat, equamente divisi tra scia-alpinisti e appassionati della ciaspola si sono messi in marcia, superando indenni un primo tratto di ghiaccio insidioso, coperto da pochi, ingannevoli centimetri di neve (e qualcuno, ahimè, ‘saggerà’ la durezza del terreno con inatteso volo d’angelo ;-)), scavalcando uno sdrucciolevole steccato metallico, inerpicandosi in un fitto bosco, passando infine accanto a graziose baite coperte di neve.
Una rapida sosta, quindi la marcia è ripresa in un vasto spazio aperto, risalendo, in lunga fila serpeggiante, un erto pendio fino a raggiungere un pianoro, al termine del quale c’è l’ultimo strappo verso la forcella finale della Forca Rossa. Ed è qui che Silvana ed io abbiamo considerato finita la nostra ascesa: un saluto a chi stava davanti ed un veloce dietro-front, ripercorrendo adesso in discesa il tracciato di poco prima.
E ce ne siamo tornate, da sole, verso il fondovalle, fermandoci dapprima all’esterno di una delle baite per un veloce pasto –non faceva molto freddo, per essere il 13 di gennaio- fino a che le mani che hanno cominciato ad intirizzire non ci hanno suggerito di rimetterci in marcia. Così ci siamo dirette al ‘Flora Alpina’, un rustico edificio con grande ristorante, dove abbiamo concluso il ‘pranzo’ con una gustosa fetta di torta ed una calda bevanda, nell’attesa del ritorno degli altri compagni di ciaspola muniti.
Poi il ritorno al pullman, con una piacevole discesa attraverso un grande prato dal dolce pendio, sollevando soffici ‘nuvole’ di neve, fino a giungere alla meta e, una volta tolte le ciaspole, cambiati gli scarponi, sistemati gli zaini, abbiamo atteso il ritorno dei valorosi sciatori nel bar vicino, ‘immersi’ in un’atmosfera amichevole, tra chiacchiere, risate e racconti di esperienze passate.
E, infine, le due ore circa di viaggio di ritorno ed eccoci infine a Trento, stanca ma altamente soddisfatta. Sì, è andato tutto bene, ho camminato il giusto, non ho fatto particolari fatiche e neppure ho incontrato difficoltà nell’affrontare salite e discese, nonostante tutti quei panettonici (e, in genere, dolciari) ‘grammi’ gustati in questo periodo. ;-)
E se Silvana ci sarà anche la prossima domenica, assieme ripercorreremo altre strade, stavolta in terra austriaca, con la stessa formula, vado, cammino finché ne ho voglia, ritorno sui miei passi. Anche se saremo solo noi…
 P.S. Purtroppo la parola scritta non è in grado di descrivere i volti stupefatti di quelle ‘compagne di viaggio’, indefesse escursioniste, nell’apprendere che non andavo in montagna da ottobre e che, oltretutto, non ne avevo affatto sentito la mancanza!!

sabato 12 gennaio 2013

12/1/1976


Non saprei quanti, tra i frettolosi passanti che percorrevano la centrale via Belenzani nella tarda mattinata del 12 gennaio 1976, avessero immaginato che quel piccolo corteo, due ‘ragazze’ e cinque uomini, compresi due ragazzini in età scolare, si stesse recando in Municipio per un matrimonio. E che tra i sette ci fossero perfino i due ‘nubendi… ;-)
No, non c’era alcun segno esteriore che facesse pensare ad una cerimonia di siffatta importanza: abiti quotidiani, ‘dal dì de laor’, per dirla alla trentina, lei con un loden verde, ‘vecchio’ di due stagioni, lui con uno grigio, ampio e abbondante, da poco acquistato ad una super-svendita per la sua convenienza, più che per l’eleganza.
Il piccolo gruppo salì l’ampia scalinata di Palazzo Thun e, seguendo le istruzioni ricevute nei giorni precedenti, raggiunse la spoglia saletta dove si sarebbe svolta la cerimonia. Non dovettero attendere a lungo l’ufficiale di stato civile, quel giorno l’assessore Alberto Perini, che avrebbe officiato il rito.
Fu una cerimonia rapida ed essenziale, con poche parole al di là della lettura delle formule rituali e, se non fosse stato per l’episodio dell’anello, sarebbe stata quasi noiosa. Quell’anello, la fede nuziale ovviamente, che la neo-sposa teneva nell’apposito scatolino nella capiente borsetta (‘de tuti i dì’ anche quella ;-)) e che venne aperta, allorché l’assessore ebbe chiesto se avessero portato le vere (così, per caso...). Quell’anello che il neo-sposo tolse dalla custodia e si infilò prontamente all’anulare, il suo, naturalmente.
-E la sposa?- l’assessore chiese quasi trasecolato –E la sposa? Lei lo deve mettere prima alla moglie…’
E fu così che la giovane sposa ricevette la fede in seconda battuta da un consorte che al suo aveva provveduto da sé…
Poi, finita la cerimonia, il piccolo corteo uscì da Palazzo Thun, con la novella moglie che teneva fra le mani, quasi imbarazzata dal vistoso nastro giallo-blu (i colori della città), le rose ricevute in omaggio dalla municipalità, estemporaneo bouquet (ovviamente quello ‘classico’ mancava del tutto) e si incamminò verso la casa dello sposo dove la di lui madre aveva allestito un beneaugurante pranzo nuziale.
E così ebbe inizio la vita matrimoniale di quei due giovani un po’ (allora) alternativi, che dura tuttora a tanti anni di distanza, quei due che, lo so che è superfluo, ma lo scrivo ugualmente, siamo noi, Paolo ed io...
Noi, che abbiamo avuto la cerimonia più ‘economica’ (a costo zero… o quasi) e più bella che potessi desiderare, con in aggiunta l’happening dell’anello, un episodio diventato quasi ‘storico’ nella nostra storia di famiglia. Con l’unico, piccolo, rammarico di non aver neppure una fotografia di quel giorno, perché l’amico che si era offerto di regalarci qualche scatto non si presentò, non ricordo se per malattia o per smemoratezza precoce.
Ma siamo sopravissuti ugualmente. Eheheh!
 

 

 

giovedì 10 gennaio 2013

La prof. Nina G.


Me ne aveva parlato l’ex alunno Francesco, un giorno del mese scorso che ero di servizio a Mandacarù.
-Sono andato a trovare la prof. G, che ora è ospite della casa di riposo di via Veneto ed è stata contentissima di vedermi…-
Ah, avevo commentato, potrei andare anch’io a farle visita, è a due passi da casa mia… E, invece, come spesso accade, anche stavolta il buon proposito è rimasto una pia intenzione e stamattina il viso dell’anziana insegnante me lo sono trovato davanti nella pagina dei ‘sorrisi’ del quotidiano locale.
Sì, la prof. Antonina G., meglio conosciuta come Nina, è ‘passata avanti’ all’età di 84 anni. Siciliana di Messina, trapiantata in Trentino da oltre cinquant’anni, aveva avviato sulla via della matematica e di Pitagora e di Euclide e dell’algebra migliaia, immagino, di studenti trentini, in una lunga carriera nelle aule della media Segantini prima e di un liceo, negli ultimi anni.
Quando fu la mia insegnante, nel triennio 1961-64 doveva essere giovanissima, poco più che trentenne ed io me la vedo ancora davanti, alta, magra, con corti capelli neri e ricci, con un grembiule nero di rasatello lucido, davanti alla lavagna o seduta dietro la cattedra. Severa ed esigente, non ammetteva ‘trasgressioni’ né dimenticanze né tantomeno atteggiamenti ‘lavativi’ (termine che talora usava con tono tagliente nei confronti del malcapitato di turno). No, non c’era confusione durante le ore di matematica, anzi probabilmente non si sentiva volare la classica mosca e si aveva il timore perfino di soffiarsi il naso, in caso di raffreddore, se non per lo stretto indispensabile.
Però era un’insegnante validissima che ti garantiva una preparazione sicura in vista delle superiori, oltreché sempre corretta nelle sue valutazioni e nei rapporti con gli studenti. Insomma, se rispettavi le regole e facevi il tuo dovere, non ci sarebbero stati problemi. E, pazienza, se non era, ella, al top delle insegnanti più amate (ma se dovessi, oggi, attribuire la palma di ‘docente preferito/a’ a coloro che ho incontrato in quegli anni, farei prima a scegliere un imparziale sorteggio…)
Ma fu nel 1974, quando, ironia della sorte, ricevetti una lunga supplenza, la prima nella scuola media, proprio nel mio vecchio istituto e mi ritrovai collega di corso della prof. G., che ne scoprii la profonda umanità. Dietro quello sguardo severo e accigliato, dietro quelle parole a volte acide e graffianti si celava una persona generosa e attenta agli altri, che mi fu di grande aiuto… morale in quella non sempre felice esperienza.
Anche per lei, mi aveva confidato, gli inizi erano stati duri, con un preside (sempre lo stesso) pronto a criticare e sancire e che quella ‘corazza’ di rigore con la quale si mostrava agli studenti, era una modalità di difesa (in parte, almeno –mi verrebbe da aggiungere).
Poi la supplenza ebbe fine, la mia strada seguì altri itinerari e i miei rapporti con la prof.G si limitarono a casuali incontri lungo le vie del centro, con qualche ‘sosta’ per un saluto e un aggiornamento delle rispettive vite.
Così il tempo è passato, un anno dopo l’altro, incontri sempre più radi, con la prof. G sempre più anziana e fragile, fino alla ‘scoperta’ del suo trasferimento nella casa di riposo e, quest’oggi, del suo decesso.
E domani mattina mi recherò al cimitero per l’ultimo saluto, con quel pizzico di malinconia che ti colpisce ogni volta che ripensi all’incessante ‘rotolare’ del tempo con il suo ‘macinare’ di ore, giorni, anni…
Riposa in pace, professoressa Nina, e che la terra ti sia lieve…

lunedì 7 gennaio 2013

6 gennaio

E’ arrivata anche l’Epifania, che tutte le feste si è portata via e qua e là per l’Italia è giunta anche la Befana, con le sue calze colme di tutto e di più, carbone compreso. Non qui da noi, perché non siamo ‘zona’ di pertinenza dell’anziana volante e, stranamente, non c’è stato neppure alcun sms ‘commemorativo’ dell’evento (si vede che è tempo di crisi anche per le comunicazioni inutili… ;-) ).
Così stamattina, seguendo la consuetudine, ho riposto le piccole bocce rosse e quei pochi e fragili cuoricini dell’identico colore, che, sopravissuti ad un movimento inopportuno delle braccia del consorte, causa di prematura dipartita di alcuni di essi, hanno adornato il mio personale e alternativo alberino natalizio, assieme ai cinque mini-presepi della mia piccola collezione, pronti ad un lungo ‘letargo’ prima del riutilizzo fra circa dodici mesi.
La giornata è poi trascorsa tra un due passi nel sole della tarda mattinata, una sosta imprevista in casa di amici di montagna casualmente incontrati, un pranzo veloce con una ‘dolce’ chiusura, che ci ha visti dar fondo alle ultime ‘tentazioni’ che ancora giravano per casa e, dopo un pomeriggio di completo relax, ci siamo velocemente diretti al cinema Astra, all’altro capo della città, per ‘goderci’ la visione del film ‘The master’.
Ne avevo letto un’entusiastica recensione su Repubblica dello scorso 2 gennaio, che lo giudicava ‘indimenticabile’ e, forte di tale, autorevole parere, ho convinto il consorte ad accompagnarmi, ma dopo due ore di proiezione, sicuramente intensa e di impatto emotivo, usciamo con qualche perplessità sul significato del termine ‘capolavoro cinematografico’.
E dire che mi accontenterei di un bel film d’amore…

venerdì 4 gennaio 2013

Ricordi di scuola

Il ragazzo si chiamava Luciano. Studente della scuola media del paesello, dove quasi quarant’anni fa cominciai la mia ‘carriera’, apparteneva alla tipologia ‘vado-a-scuola-perché-devo-tanto-poi-farò-il-contadino’ (o l’operaio o il meccanico o il commesso..). Di quelli che ripetevano ‘a che po’ studiar la storia (o la geografia o le scienze und so weiter…), tanto mi ‘on a zapar’, che spesso possedevano il cosiddetto ‘quaderno universale’ o ‘quaderno pluriuso’, sul quale svolgevano i compiti di antologia nella parte anteriore, quelli di tedesco nella parte posteriore e, nelle pagine centrali, gli schemi di storia o di geografia. E non perché le famiglie si trovassero in condizioni di estrema indigenza da non poter acquistare una minima dotazione scolastica, ma per un totale disinteresse a tutto quello che si faceva tra i banchi.
Per fortuna non erano numerosi, ma un rappresentante per classe si poteva facilmente incontrare e Luciano ne era un prototipo. Era stata la sua risposta alla domanda ‘quanto tempo dedichi quotidianamente allo studio?’ (‘cinque, no no, cinque no… dieci, sì dieci, forse quindici minuti al giorno’) che aveva spinto gli stupefatti docenti a mettere in piedi, in quattro e quattr’otto un’indagine sui tempi dello studio domestico, con tanto di questionario anonimo…
 

E altrettanto ‘originale’ era la di lui mamma. Signora di età indefinita, sicuramente più giovane di quanto abbigliamento e pettinatura facessero ipotizzare, con una strana postura del capo, leggermente reclinato verso la spalla, fare generalmente ossequioso, non si era mai fatta notare fino ad una certa udienza con l’insegnante di lettere, la mia collega Elisa M. (che poi riferì l’accaduto).
-Signorina, ela la deve esser pù molesina, con el me Luciano…-
-…..-
-Sì, signorina, la deve esser pù molesina…-
-…..-
-Pù molesina, signorina, pù molesina..-
-SIGNORA, è proprio perché sono stata MOLESINA che il suo Luciano è stato promosso in seconda! Se non fossi stata MOLESINA, sarebbe stato bocciato!!-

Probabilmente la buona signora non replicò oltre e se ne tornò a casa, non sappiamo quanto convinta, e ignorando di aver, da quel giorno, cambiato identità.
Perché da allora ella diventò… la Molesina.

-Era la Molesina, quella signora a udienza?-
-Ho incontrato la Molesina dal panettiere…-
-Dovremmo convocare la Molesina…-
 

Molesina: termine dialettale, (aggettivo femminile, molesin la forma maschile), che significa molle, morbida, tenera…
Nella fattispecie, l’insegnante ‘molesina’ avrebbe dovuto essere… più indulgente. Molesina, insomma ;-)



 


mercoledì 2 gennaio 2013

Scanner e nostalgiche scansioni

 
Il consorte si era regalato lo scanner un paio di anni fa, quando ancora era in piena attività lavorativa, con lo scopo, aveva allora asserito, di sistemare vecchie foto e le centinaia e centinaia di diapositive che occupavano (e occupano) diversi spazi di casa nostra. Così, per un certo tempo, lo strumento aveva stazionato nei pressi del computer e ‘brandelli’ della nostra vita passata erano riemersi da un oblio quasi polveroso. E non solo, ma anche vecchi scatti dei rispettivi ‘antenati’, il matrimonio dei miei genitori, i nonni, alcune anziane zie, che di volta in volta si materializzavano sullo schermo del computer.
Poi, come spesso accade, il ‘giocattolo’ cominciò a perdere d’interesse e dopo qualche settimana venne riposto nella sua scatola, da cui fu tolto solo in rare occasioni.
-E lo scanner? E’ diventato un elemento di arredamento?-
-Tranquilla, prima o poi el tiro fòra…-
E così è stato. Ci è voluto un post-natalizio incontro conviviale con il fratello minore, moglie e figli, per farlo riemergere dalla sua custodia e rimetterlo in movimento per ‘ripescare’ le diapositive di una lontana vacanza ad Ostuni, da regalare ai parenti. Da quel giorno c’è stato un tourbillon nostalgico di noi, giovani genitori, di figli bambini, al parco, al mare, in viaggio, di momenti che credevamo di aver dimenticato e che ora guardiamo con tenerezza, un po’ di rimpianto e quello stupore che nasce sempre di fronte al correre del tempo.
Com’è possibile che siano passati tutti questi anni? Sembrava ieri ed invece…
Ed eccoci in due lontani scatti: il primo, del 1990, a famiglia riunita in visita al castello di Oria (Brindisi) e il secondo, ancora più lontano nel tempo, del 1985, con la sottoscritta, allora trentacinquenne, al belvedere del ghiacciaio del Grossglockner. Da notare l’abbigliamento. No, non era la dotazione alta-montagna Montura del tempo, ma ero proprio vestita… da mare, con tanto di zoccoli dr.Scholls. Eravamo giunti fin là in macchina, risalendo (e riscendendo) decine di arditi tornanti, in una veloce deviazione sulla via per Vienna, dove avremmo trascorso alcuni giorni di vacanza a due, alloggiando in un grande campeggio periferico e dormendo in una air-camping prestataci da amici.
Certo, se vedessero oggi, gli amici della Sat, la foto in questione, chissà cosa penserebbero. Sempre che fossero in grado di riconoscermi, of course ;-)