Martedì 24
settembre
Ci alziamo ancor prima dell’alba, perché ci attende anche quest’oggi
una lunga e intensa giornata, con la visita al Sossuslvei Park e alle sue dune
di sabbia, tra le più alte e più vecchie del mondo (o almeno così recita la
guida…) e quando le prime luci del giorno si alzano ad illuminare il paesaggio,
regalandoci scenari di bellezza unica, siamo già in viaggio da un buon quarto
d’ora.
Il nostro autista (sempre il consorte) procede a buona velocità lungo
la pista sterrata, ma ciò nonostante viene continuamente superato da altri
autoveicoli, compreso un pullman turistico, che ogni volta sollevano un tale
nugolo di polvere nel quale viaggiamo ovattati per decine e decine di metri.
Poi, eccoci a Sesriem, ai cancelli del parco, giusto in tempo per l’apertura
che avviene una decina di minuti prima delle sette, quando un solerte addetto
controlla il permesso d’entrata già pagato, prende nota delle caratteristiche
del veicolo, del numero dei trasportati e perfino del nome del guidatore prima
di dare l’ok all’ingresso.
Ci immettiamo pertanto sulla rettilinea strada asfaltata (l’asfalto,
che sollievo!!) che per circa 70 km attraversa il parco, ma non abbiamo
percorso che pochi km quando l’imprevisto ci blocca: uno strano rumore della
ruota anteriore sinistra e la triste scoperta di aver bucato. Non ci resta che
cambiare il pneumatico lesionato, operazione che il team di tre validi
meccanici porta a termine in un breve lasso di tempo e che ci permette di
riprendere il tour (ne vedremo degli altri, di veicoli fermi a seguito di
simile disavventura) e di godere della straordinaria bellezza del luogo.
Qualche sosta per permettere ai nostri fotografi di immortalare vedute
e ‘residenti’, nella fattispecie numerosi struzzi che camminano impettiti e
indifferenti all’umana presenza ed eccoci alla rossa duna 45, la più celebre e
la più accessibile della zona. Si può arrivare, infatti, in auto fino alla sua
base, accanto ad alcuni maestosi alberi dai tronchi contorti, e di qui, seguendo
una stretta traccia, risalire fino alla sommità, 150 metri al di sopra della
pianura circostante. E qui ci si sente davvero in cima al mondo, con la
vastissima spianata laggiù in fondo, dove le auto percorrono minuscole il
nastro d’asfalto e tutt’attorno una sfilata di dune dalla sabbia rossastra che
si stagliano contro l’azzurro intenso del cielo, ognuna unica e diversa. La più
curiosa ha una forma perfettamente triangolare, che la fa paragonare ad un
enorme frontone o ad un moderno palcoscenico per il meraviglioso spettacolo della
natura.
E poi è il momento degli scatti fotografici, a due, a tre, in gruppo,
quindi ci soffermiamo ad osservare la corsa veloce di uno strano insetto e di
alcune minuscole lucertole prima di dividere le nostre strade. Sì, perché,
mentre Paolo ed Ugo, audaci e instancabili, decidono di raggiungere la sommità
della duna susseguente e Renato rimane in postazione per immortalare la
conquista della ‘vetta’, Silvana ed io cominciamo a grandi passi la discesa
verso il fondovalle. E’ un pendio assai ripido quello che dobbiamo affrontare,
ma tutti i miei timori iniziali sono subito fugati nel vedere che la sabbia
‘tiene’ e non c’è alcun rischio di ruzzolare a mo’ di masso; l’unico
inconveniente a cui andiamo incontro è il circa mezzo chilo di terra rossa che
dobbiamo svuotare da scarpe e calzini, una volta arrivati alla base.
Adesso la successiva meta è il parcheggio di Sossusvlei, alla fine
della strada asfaltata, dove, lasciata la nostra auto, saliamo a bordo di una
jeep-navetta per percorrere i circa sei km di pista sabbiosa che conducono nei
pressi di Dead Vlei, altro luogo dall’aspetto quasi surreale che ci colpisce
profondamente.
Ci troviamo infatti in una bianchissima spianata di terra riarsa e spaccata
sulla quale si elevano neri tronchi carbonizzati dalle forme più strane che
richiamano alla mente animali fantastici, figure mostruose o immagini di
sofferenza, ma basta spostarsi di qualche metro, cambiando la prospettiva, per
trovarsi di fronte a tutt’altre raffigurazioni. E tutt’attorno un anfiteatro di
rosse dune sovrastate da un cielo di un azzurro mai visto, in un contrasto di
colori spettacolare e senz’altro unico.
Siamo pressoché gli unici visitatori in questo ambiente particolare e
siamo gli unici, qualche decina di minuti più tardi, a prendere posto su
un’altra jeep che ci riconduce al parcheggio, condotta con spericolatezza e
indubbia perizia, lo riconosco, da un emulo di Schumacher che mi regala qualche
timore ogni volta affronta curve, cambi di pendenza, tratti più impervi,
facendoci sobbalzare paurosamente sui sedili dello scomodo mezzo. Ed è con vero
sollievo che, dopo un tempo che mi pare interminabile, giungiamo nei pressi
della nostra auto parcheggiata.
Ora non ci rimane che ritornare sui nostri passi, con un paio di soste
e all’ingresso del parco e alla stazione di servizio di Solitaire, nei pressi
della quale imbocchiamo il lungo viale che ci conduce al Solitaire Guest Camp,
il lodge dove trascorreremo la notte, una rustica struttura dotata di ogni
comfort e bene inserita nell’ambiente, con piccoli edifici dal tipico
arredamento.
Ed è pressappoco all’ora di cena, mentre stiamo attendendo l’arrivo a
tavola degli ultimi ospiti, che siamo colpiti da un ticchettio inequivocabile:
sta piovendo!! A due passi dal deserto del Namib! E con qualche rombo di tuono!
Chi l’avrebbe mai detto??